LA CULTURA DEL LIKE
- Valerio Schiavoi
- 11 set
- Tempo di lettura: 5 min

Quando apriamo Instagram o TikTok, spesso non lo facciamo solo per passare il tempo: si controlla se qualcuno ha messo un like, se le visualizzazioni sono salite, se un commento ci ha fatto sentire visti.
OGGI I SOCIAL NON RAPPRESENTANO PIU’ SOLTANTO UNO SVAGO: SONO DIVENTATI ANCHE UN METRO DI VALUTAZIONE CHE MISURA QUANTO “VALIAMO” AGLI OCCHI DEGLI ALTRI.
Penso a quante volte prendiamo in mano il telefono per “guardare l’orario” e quasi inconsciamente, in automatico controlliamo le notifiche. Eppure, dietro a questa abitudine, c’è molto più di un gesto superficiale (come qualcuno può pensare, vero adulti??): c’è quello che è diventato un vero e proprio bisogno di approvazione.
Questo bisogno nasce precisamente dall’uso quotidiano di internet e dalla sua importanza che ha ormai acquisito in questa società.
In questo articolo vorrei riflettere su come la cultura del like abbia reso il people pleasing quasi inevitabile e perché tanti giovani oggi si sentono schiacciati dal peso di dover sempre apparire nel modo giusto.
UN BISOGNO NATURALE MA AMPLIFICATO
In Italia (e forse non solo qui) il concetto di “non fare brutta figura” è quasi un mantra. Sin da piccoli impariamo a sorridere anche quando non ci va, a essere educati, a non contraddire, a presentarci in un certo modo davanti a parenti, insegnanti, conoscenti, a seguire, senza dubitare, schemi imposti. Questo atteggiamento ha anche un lato positivo ossia l’attenzione, il rispetto, la considerazione verso chi ci circonda. Diverso è quando il bisogno di essere “visti bene” diventa una regola assoluta, allora lì si corre il rischio di soffocare l’autenticità di ogni individuo.
E' COME SE LA NOSTRA IDENTITA' FOSSE SEMPRE IN BILICO TRA IL DOVER APPARIRE IMPECCABILI, E LA PAURA DI TRADIRE LE ASPETTATIVE.
In questo conflitto, entrano in gioco i social, che rappresentano un nuovo campo di battaglia. Se prima questa necessità di dover essere qualcuno che in realtà non si è, era riservata per la classe a scuola, i pranzi in famiglia a Natale o per i colleghi in ufficio, ora si è trasferita anche in piattaforme usate da tutti.
Per capire meglio, ritengo sia giusto comprendere come ogni piattaforma social ha il suo modo di esigere performance.
Instagram richiede immagini e aspetti curati, vite che sembrano sempre perfette;
TikTok impone la partecipazione a trend e format che “vanno”, pena l’essere tagliati fuori;
Persino le dating app funzionano su una logica simile in quanto non importa chi sei, ma come appari in pochi secondi.
In questo scenario, il people pleasing trova terreno fertile. Ci adattiamo a cosa “funziona”, educhiamo noi stessi a piacere non a noi, ma a un pubblico invisibile che scrolla lo schermo freneticamente. Quel pubblico che ci guarda per un solo attimo per poi passare subito oltre, ci lascia addosso quella sensazione di dover sempre rincorrere un nuovo standard. È come vivere su un palcoscenico il cui sipario non si chiude mai: recitiamo, anche quando non abbiamo scelto di farlo.
IL VALORE DEL LIKE
La cultura del like non si limita ai social. Ha contagiato interi settori creativi. Penso alla moda: un tempo una collezione ti dava uno spunto di riflessione, una visione o ti ispira. Oggi, spesso schiacciata dal peso del marketing e delle vendite, non conta più nulla di tutto questo, ma solo quanto la collezione funziona su TikTok o quanto engagement genera e quanti pezzi può vendere. La creatività si piega così alla logica del numero.
La musica viene giudicata dagli stream, il cinema da quanti soldi incassa un film, i media dai click. Sui social vedo spesso post di persone che comparano tour, artisti, cantanti, celebrità, solo in base ai numeri e allora mi chiedo,
QUANDO ABBIAMO INIZIATO A VALUTARE LE PERSONE IN BASE AI NUMERI E NON PIU’ IN BASE AL TALENTO E A CIO' CHE VERAMENTE ESSI HANNO DA OFFRIRE?
Ovunque il valore sembra coincidere con la capacità di generare dati. Questo meccanismo rafforza una convinzione che ritengo essere pericolosa: se non porto numeri, se non performo, se non genero consenso, allora, valgo meno o il mio contenuto non ha interesse? Il rischio è che, tanto gli individui quanto gli artisti, smettano di chiedersi “chi sono” a fronte di un “quanto rendo”.
Il risultato è un controsenso che conosciamo bene. Siamo costantemente connessi, eppure ci sentiamo più soli che mai. Abbiamo tanti occhi intorno ma nessuno che ci guardi realmente. E il like si inserisce come un cerotto leggero, un modo per chiudere momentaneamente quel senso di vuoto che però resta sotto la superficie, perché
PIU' CERCHIAMO APPROVAZIONE E PIU' RISCHIAMO DI PERDERCI.
OLTRE LA SUPERFICIE
Quello che molti adulti fanno quando giudicano “i giovani schiavi del telefono”, è che si fermano alla superficialità della cosa. Ma, cari boomers, posso assicurarvi che non è solo questo. Se guardaste più a fondo, vi accorgereste che,
DIETRO LA NOSTRA DIPENDENZA DAL TELEFONO, C’E' QUALCOSA DI MOLTO SEMPLICE E UMANO COME IL DESIDERIO DI NON SENTIRSI SOLI.
Ogni like ottenuto, ogni foto pubblicata, ogni refresh compulsivo hanno il valore di quel bisogno di dire al mondo “Eccomi, ci sono anch'io!", “Guardami, sono qui anche io”.
Non fraintendetemi, postare sui social è bellissimo. Io adoro fare foto e pubblicarle, ma il problema sta sempre nel motivo per cui lo facciamo. È solo perchè ci piace tanto la foto che pubblichiamo o perchè vogliamo realmente che qualcuno la veda e pensi qualcosa di noi? Ah quante volte ho postato solo per questo motivo lol! E quante foto ho tolto da Instagram o quanti video sono stati eliminati su YouTube solamente perché non avevano fatto abbastanza like o un certo numero di visualizzazioni!
Purtroppo però, nel rincorrere la tanto bramata approvazione esterna, rischiamo di allontanarci da noi stessi. Ci convinciamo che la nostra immagine social funziona più della nostra figura reale. Il genere musicale più seguito è quello che va generato, ascoltato, cantato e ballato. La maglia diventata basica perché più venduta è assolutamente più importante di un abito che racconta una storia.
E QUINDI?
La cultura del like sicuramente non sparirà da un giorno all’altro. I social fanno ormai parte delle nostre vite e continueranno a essere importanti ancora a lungo. Ma, forse, il cambiamento da attuare sta proprio nel modo in cui decidiamo di usarli. Anche se non è affatto facile, dovremmo imparare a non sminuire la nostra identità, la nostra personalità e il nostro essere solo ad una serie di numeri. Personalmente sto cercando di attuare il cambiamento disattivando le notifiche e usarli con intelligenza. Non riusciremo mai a liberarci di quel bisogno social di essere visualizzati. È umano e non c’è niente di così sbagliato. Possiamo però scegliere come mostrarci: non come brand, non come performance, ma come persone. La verità è che dietro ogni schermo, ogni notifica, ogni cuore, ogni visualizzazione c’è qualcun'altro che prova le stesse nostre sensazioni.
Riconoscendo il fatto che la nostra è una solitudine condivisa, forse riusciremo finalmente a non sentirci poi così soli.







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